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Notizie » L’editore intervista l’autrice: Giulia Tubili

Intervista [Autore] 22/06/2022 12:00:00

🌱 In occasione della pubblicazione del libro di Giulia Tubili, “Codice a sbarre” - Storie di assenti e di simbionti in cattività - in libreria dal 24 giugno 2022, abbiamo intervistato per voi l’autrice, al suo esordio letterario.

🎤👇👀

Ciao Giulia, la raccolta di racconti “Codice a sbarre” è la tua prima pubblicazione, il tuo esordio letterario, sei emozionata? Potresti presentarti brevemente ai nostri lettori?

Ciao a voi! Confermo, sono molto emozionata. Anzi, volendo essere più precisi, ancora fatico a realizzare il raggiungimento di questo traguardo. Benché io scriva con costanza dalle scuole elementari, mi sono sempre focalizzata sull’aspetto attoriale della mia vita. Per me, recitazione e scrittura viaggiano su binari paralleli ma se per una mi sono attivata immediatamente sul piano lavorativo, l’altra l’ho sempre vissuta non tanto come un hobby quanto più come una valvola di sfogo necessaria. Vitale, direi. Quest’opportunità che mi avete offerto è stata provvidenziale nell’attivare un meccanismo che, ancora non so come mai, mi spaventava. Quindi sì, eccomi: attrice e scrittrice (si può dire?) in costante evoluzione e, forse, un po’ masochista ma comunque fiera di tale percorso. Sono romana e attualmente vivo a Milano nel buon nome della duplicità che, forse, mi caratterizza in tanti aspetti della vita.


Quali sono i tuoi autori di riferimento e le tue letture preferite?

C’è sicuramente un fil rouge a personalizzare i miei gusti in campo artistico (di qualunque branca si tratti) ma mi rendo conto di essere molto aperta e capace di spaziare. C’è chi dice che le persone come me sono generiche e prive di un’impronta riconoscibile ma io mi reputo semplicemente curiosa. Posso agilmente passare da Vladimir Nabokov a Irvine Welsh. Da Oscar Wilde a Bret Easton Ellis. Da Virginia Woolf a Joan Carol Oats, passando per Eugenides, Poe, King, Shelley, Christie e così via. Sono grande amante delle autrici (poetesse comprese) e in loro cerco quel che do e posso dare alla letteratura in quanto donna. È un fenomeno che mi affascina. I generi cui mi appassiono sono spesso intrisi di dramma, crudezza, sarcasmo: storie di vita estreme anche nella loro apparente banalità. Intanto, mi accingo a colmare le mie mancanze nelle opere italiane e asiatiche e spero di potermi presto mettere a leggere “Gli Amori Difficili” di Italo Calvino.


Perché hai scelto il racconto come modalità espressiva?

Il mio è stato un approccio graduale. Non che reputi la scrittura di un racconto da sottovalutare rispetto a quella di un romanzo, anzi, penso serva una certa maestria a condensare una storia efficace in un testo breve. Per esperienza personale, ho affrontato questa modalità espressiva sentendomi più a mio agio. Non lo nego: la stesura di un romanzo mi spaventa ma ci sto lavorando da anni. Tutt’oggi, mi dedico alla scrittura creativa a quattro mani con un particolare focus sui personaggi e le loro relazioni immersi nei contesti più disparati. Fondamentalmente, è come costruire una narrazione capitolo per capitolo.


Di cosa parla “Codice a sbarre”? Sotto al titolo leggiamo: “Storie di assenti e di simbionti in cattività”, ce ne parli?

Codice a Sbarre parla dell’essere umano. Della sua fallibilità, dei suoi lati oscuri, delle routine mordaci che è costretto a vivere e della sua assenza nel trascorrere della sua vita. I protagonisti sono spesso legati fra loro attraverso la dubbia moralità che li contraddistingue, ammaestrati o ribelli al sistema della cattività quindi, ciò che mi premeva esprimere, era il concetto di prigionia in ogni sua forma. Il carcere effettivo, la cella spirituale e mentale, il lavoro, la famiglia, l’amore… se stessi come gabbie ambulanti. Non punto a “rieducare” il lettore né a dargli una lezione, sarebbe presuntuoso. È un atto di condivisione che, ossimorico, si esprime attraverso l’impossibilità di farlo.


In “Codice a sbarre” c’è qualcosa di autobiografico o si tratta di sola e pura invenzione? In che modo i personaggi delle tue storie ti somigliano o ti esprimono?

Il senso di prigionia mi sta molto a cuore perché sono anni che ho l’impressione di vagare rinchiusa fra le mie stesse sbarre. Magari erette dalle esperienze ma sicuramente rinforzate dal mio stesso intervento. Ho voluto venare questi racconti di vissuto personale pur concedendomi ampie variazioni sul tema che non per forza collimassero con la mia storia. C’è una nota di fondo che parla di me e dell’asfissia che provo a targhe alterne. In ogni personaggio c’è anche solo un briciolo di me. In ogni “dipinto” c’è qualche dettaglio che rievoca l’autrice. Sono racconti che ho scritto durante un lasso di tempo molto lungo quindi, alcuni di questi, sono stati “semplicemente” revisionati. Sono stata attenta a non snaturarli perché mi piaceva l’idea che si percepissero anche delle differenze nella “maturazione creativa” dei vari episodi.


Spesso ti esprimi artisticamente attraverso le tue capacità attoriali: il tuo essere attrice ha influenzato sulla scrittura dei racconti? Se sì, come?

Sono un’amante vorace del cinema e il mio stile di scrittura può definirsi piuttosto visivo. Mi piace immaginare e ragionare per scene, improntare i miei lavori su uno stampo filmico e lasciarmi trasportare dalla corrente. Mentre scrivo ho l’abitudine di assumere le espressioni o compiere i gesti di cui tratto e mi stimola immaginare quegli individui interpretati da me in altra sede. Ovunque siano situati nello spettro queer, non ha importanza: cerco di entrarvi in sintonia con umiltà e fantasticare sulla mia voce che esprime i loro discorsi. Oltretutto, la stragrande maggioranza dei protagonisti della raccolta è ispirata a volti di attori che ammiro.


Perché hai scritto questi racconti? Ce un racconto che ti ha particolarmente appassionata nello scriverlo? Ce ne parli?

Il motivo, come detto, si lega al grande interesse che ho nello sviscerare il senso di oppressione e chiusura al di sopra di ciò che è giusto o sbagliato. Indubbiamente, ci sono racconti cui mi sento più legata e che ho scritto con maggiore fluidità. Potrei abbinare ragioni diverse all’importanza di ognuna delle storie create ma l’esempio più lampante si collega all’ultima che ho ideato, ovvero “Ziggystein”. Risulta una narrazione vagamente più “sperimentale” e ben si associa al lato della me puramente attrice. Mentre buttavo giù il racconto, immaginavo il protagonista esprimersi nel modo più colloquiale e realistico possibile ma ammiccando ai registri comunicativi di vecchie pellicole. In questa sceneggiatura più tornita, ho lasciato grande spazio al discorso diretto e a dialoghi pungenti dai toni “alleniani”, così come mi sono divertita a racimolare informazioni inerenti al periodo in cui ho ambientato la storia.


A quali lettori è rivolto “Codice a sbarre”? Cosa può convincere un lettore incerto a leggere i tuoi racconti?

So che i racconti vendono meno dei romanzi ma so anche che viviamo in un’epoca affannata, macchiata di attenzione scarsa. Labile. Non mi reputo una persona particolarmente abile nell’esprimersi con brevità ma ci tengo che il contenuto del messaggio abbia un rilievo nettamente superiore alla sua lunghezza. Sono convinta che ognuno di noi, in un modo o nell’altro, si senta in trappola e spero che, approfondendo il carcere e le sue mille facce, si riesca a considerare la libertà con maggiore assennatezza. La mia speranza è che questa piccola raccolta invogli lettori di qualsiasi fascia ma mi rendo conto di avere uno stile estremamente arzigogolato e non adatto a qualsiasi palato. D’altronde, è così per ogni cosa. Mi auguro di suscitare in chi mi legge il desiderio di annidarsi tra le righe e ispirare, quindi, pareri che vadano oltre l’impostazione più superficiale degli scenari presenti.


Grazie.

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🌱👉 Il libro d’esordio di Giulia Tubili sarà in libreria dal 24 giugno 2022.

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