Nell’anniversario della strage di Capaci proponiamo un estratto dal libro di Alessandro Cortese, “La mafia nello zaino”, pagina 58, in cui le figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono trasposte in quelle del giudice Di Giovanni e dell’amico Paolo:
«A noi, per fermarci le indagini, ci devono ammazzare» così dicendo sembrava che il giudice Di Giovanni volesse sfidare dei nemici invisibili. «Lo dobbiamo alla Sicilia e alla gente di Sicilia, per convincerli che almeno una parte dello Stato non solo non li ha ancora abbandonati, ma combatte per ridare questa terra a loro, ai siciliani onesti che con la mafia non hanno nulla a che spartire».
«E in questo paese, Falco?» domandò l’altro, «Tutti siciliani onesti sono? Siciliani che nulla hanno a che spartire con la mafia?».
«Se tu avessi visto la faccia di queste persone davanti al cadavere dell’avvocato Cantarò» rispose lui, e per un attimo fui certo si fosse accorto di me e quelle parole fossero indirizzate al suo amico Paolo quanto alle mie orecchie, «… allora sapresti che qui c’è tanta brava gente che la mafia fa stare zitta, facendo lavorare i poveracci come muli e picchiando loro il bastone sulla schiena.
Per questo ho il dovere di concludere il mio lavoro, prima d’andarmene. E lo sai come funziona: vorrebbero spostarmi a Roma perché le cosche hanno ricominciato a sparare per strada e hanno paura che un pentito, scantandosi della mattanza, decida di fare qualche nome eccellente a gentaccia come noi, ’ché rompiamo le scatole invece di farci i fatti nostri».
«E meno male che ancora ci stanno scassaminchia come me e te, Falco!» esclamò Paolo facendolo sorridere.
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Notizie » Anniversario della strage di Capaci
Evento [Libri] 23/05/2022 12:00:00