📝 «Il nome di de Freitas, classe 1972, poeta, traduttore, saggista nonché editore, appartiene alla schiera dei più validi autori della poesia portoghese, una poesia di per sé, per tradizione e impronta, nobilissima nella narrazione di una modernità ora aperta ai più diversi mari delle sue evocazioni ora nel trattenimento delle sue intimità nascoste. Grazie all’infaticabile cura della neonata “Il ramo e la foglia edizioni” è possibile ora di quest’autore così raffinato nell’unicità delle sue rappresentazioni avere un quadro a tutto tondo nella breve antologia di una sessantina di testi circa qui presentati. Il viaggio è dentro un’anima pienamente avvinta alle regressioni e agli splendori di una vita data, appresa più nelle sue miserie, nelle sue disillusioni di irraggiungibilità d’amore, e di vita stessa, per corruzione e per naturale incapacità umana a dirsi, ad essersi tra i circuiti delle proprie vaghe e vane aspirazioni. Così l’affondo con l’autore tra le strade e le taverne di una Lisbona nell’eterna agonia delle sue mummificazioni ha il sapore di una esistenza percepibile e condivisibile solo dalle crepe, nel riconoscimento sospeso di attimi in una misericordia di stordimento e perciò dischiusa all’orrore di una accettazione che mai potrebbe. Non è un poeta tenero de Freitas ma grato e per questo anche rabbioso a fronte delle piccole luci in avanzamento e in richiesta da una contemporaneità in vendita e in abbandono di sé, la musica, la letteratura sole nella dimensione di un tempo perfetto perché dimentico, inesausto e libero alla propria bellezza. Il peso è quello del corpo, metronomo tra cadute e piccole, magnifiche bieche aspirazioni quotidiane di qualcosa a noi sempre in ritardo, di amori e cose non avute, non amate perché impossibili, a perdersi allora nel sistema di significati teorie e filosofie che non reggono (la poesia in fondo non essendo che questo, il “modo/inaccettabile di dire che non abbiamo toccato il corpo/che è stato, per una volta, così vicino/a noi – e che neppure un nome breve ci ha lasciato”). Di una carne allora offesa e offendente nella catena dei richiami e delle prigionie, a dire, a confermarsi a ogni istante a quell’unica vocazione di cui tutti davvero siamo campioni, quello della morte...»
Ringraziamo Gian Piero Stefanoni e il Corriere dello spettacolo per la recensione a “Poco allegretto”, poesie di Manuel de Freitas tradotte dal portoghese (traduzione e introduzione di Roberto Maggiani; in copertina: murales di J.M. Samina - fotografia di R. Maggiani)
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Recensione [Libri] 03/12/2021 12:00:00