«Poiché propone all’uomo la verità e l’integrità del suo stare sulla terra, tutta la poesia è rivoluzionaria.»
“Poesia e rivoluzione” è l’appassionato intervento che Sophia de Mello Breyner Andresen pronuncia durante il primo Congresso degli scrittori portoghesi, a solo un anno di distanza dalla Rivoluzione dei garofani. Un manifesto poetico e politico a cui ci sentiamo legati e che riteniamo un punto di riferimento per la poesia di Il ramo e la foglia. Ecco il discorso:
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L’amore positivo della vita cerca l’integrità. Poiché cerca l’integrità dell’uomo la poesia in una società come quella in cui viviamo è necessariamente rivoluzionaria - è il non-accettare fondamentale. La poesia non ha mai detto a qualcuno d’avere pazienza.
Il poema non spiega implica. Il poema non spiega il fiume o la spiaggia: mi dice che la mia vita è implicata nel fiume o nella spiaggia. Come dice Pascoaes:
Ah se non fosse per la bruma del mattino
E per questa vecchia finestra dove
M’affaccerò per udire la voce delle cose
Io non sarei quello che sono
È la poesia che mi implica, che mi fa esistere nello stare e mi fa stare nell’esistere. È la poesia che rende intero il mio stare sulla terra. E poiché è la più profonda implicazione dell’uomo nel reale, la poesia è necessariamente politica e fondamento della politica.
La poesia cerca infatti il vero stare sulla terra dell’uomo e perciò non può estraniarsi da quella forma dello stare sulla terra che è la politica. Così come cerca la vera relazione dell’uomo con l’albero o con il fiume, il poeta cerca la vera relazione con gli altri uomini. Questo l’obbliga a cercare ciò che è giusto, questo lo implica in quella ricerca di giustizia che è la politica.
E poiché cerca l’integrità, la poesia è, per sua natura, disalienazione, principio di disalienazione, disalienazione primordiale. Libertà primordiale, giustizia primordiale. Il poeta dice sempre: «Io parlo della prima libertà»
Da quell’unità fondamentale della libertà e della giustizia il poeta ha formato il suo progetto opposto alla divisione.
Se vogliamo oltrepassare la cultura borghese - ossia l’uso borghese della cultura - è perché vediamo in esso il regno della divisione, il fallimento del progetto dell’integrità. Senza dubbio grandi poeti sono nati e hanno creato dentro il mondo della cultura borghese. Ma hanno sempre vissuto quel mondo come esilio e vedovanza, come poeti maledetti. L’arte della nostra epoca è un’arte frammentaria, come i pezzi d’una cosa che è stata spezzata.
«Sono un mucchio di cocci su uno zerbino da sbattere», disse Fernando Pessoa che qui, nell’estremo occidente, ha percorso fino ai loro ultimi confini le mappe della divisione e le ha dette lettera per lettera.
E camminare in avanti è emergere dalla divisione. È rigettare la cultura che divide, che ci separa da noi stessi, dagli altri e dalla vita.
Sappiamo che la vita non è una cosa e la poesia un’altra. Sappiamo che la politica non è una cosa e la poesia un’altra.
Cerchiamo la coincidenza tra lo stare e l’esistere. Cercare, l’integrità dello stare sulla terra è la ricerca della poesia.
Per questo rigettiamo l’uso borghese della cultura che separa il cervello dalla mano. Che separa il lavoratore intellettuale dal lavoratore manuale. Che separa l’uomo da se stesso, dagli altri e dalla vita.
E poiché il disalienare, il conquistare l’integrità di ogni uomo è la radicale finalità di tutta la politica rivoluzionaria, il progetto d’una politica reale è per sua natura parallelo al progetto della poesia. Ma guardando con attenzione vediamo che il compito specifico della. politica è creare le condizioni in cui la disalienazione sia possibile. Rigorosamente, la politica non crea la disalienazione bensì la sua possibilità.
È la poesia che disaliena, che fonda la disalienazione, che stabilisce l’intera relazione dell’uomo con se stesso, con gli altri, e con la vita, con il mondo e con le cose. E dove non esista questa relazione primordiale pulita e giusta, questa ricerca d’una relazione pulita e giusta, questa verità delle cose, mai sarà reale la rivoluzione.
Poiché è la poesia che fonda. Per questo Hölderlin disse: «Quello che resta sono i poeti a fondarlo».
E per questo la politica non può mai programmare la poesia.
Compete alla poesia, che è per sua natura libertà e liberazione ispirare e profetizzare tutti i cammini della disalienazione.
E quando la parola della poesia non coincide con la politica, è la politica che deve essere corretta. Per questo è proprio della verità e dell’essenza della rivoluzione che la poesia possa sempre creare liberamente il proprio cammino.
Ed è molto importante che si comprenda chiaramente che l’arte non è lusso né ornamento. La storia ci mostra che l’uomo paleolitico ha dipinto le pareti delle caverne prima di saper cuocere l’argilla, prima di saper lavorare la terra. Ha dipinto per vivere. Perché non siamo soltanto animali stimolati nella lotta per la sopravvivenza.
E se la politica deve disalienare la nostra vita politica e la nostra vita economica, è la poesia che disaliena la nostra coscienza.
Poiché propone all’uomo la verità e l’integrità del suo stare sulla terra tutta la poesia è rivoluzionaria.
Per questo la forma più efficace per un poeta di aiutare una rivoluzione è essere fedele alla propria poesia. Scrivere cattiva poesia dicendo che si sta scrivendo per il popolo, è soltanto una nuova forma di sfruttamento del popolo.
Chi è realmente impegnato per un Paese e una società migliori, lotta per la verità della cultura. Colui che è connivente con la mediocrità è nemico d’una società migliore, anche se proclama grandi principii rivoluzionari. La rivoluzione della qualità è radicalmente necessaria ad una rivoluzione reale.
Dove non c’è la poesia nulla di reale può essere fondato.
Non è per caso né per una particolarità del suo temperamento che Mao Zedong è un poeta. Non è per caso che Marx e Trotsky amarono la poesia. La poesia è primordiale e anteriore alla politica. Per questo nessun politico per quanto puro possa essere il suo progetto può programmare una poetica.
Ma nessuna rivoluzione sarà reale se la poesia non ne è a fondamento e non rimane sua sorella.
Ma sulla partecipazione dello scrittore alla rivoluzione, ogni scrittore deve decidere per sé. Ognuno può proporre il proprio cammino o la propria ipotesi agli altri senza che nessuno sia obbligato a seguirlo. Tuttavia, ci sono alcuni principii che mi sembrano oggettivamente intrinseci alla condizione dello scrittore. Questi principii sono:
- Lottare contro la demagogia che è la degradazione della parola. come disse Mallarmé «dare un senso più puro alle parole della tribù» è una missione del poeta.
- Lottare contro gli slogan. Un proverbio Burundi dice: «Una parola che sta sempre in bocca si trasforma in bava».
- Lo scrittore come ogni uomo cosciente deve esercitare un’azione critica. E deve lottare per un ambiente in cui la critica sia possibile. Così, in questo momento lo scrittore deve lottare per un ambiente sano – cioè per un ambiente dove colui che critica non sia accusato di reazione o di fascismo.
- Lottare contro la promozione del mediocre. Lottare fin d’ora, immediatamente, per una rivoluzione di qualità. E, poiché vogliamo che la cultura sia messa in comune, lottare per la rivoluzione della qualità in tutti i mezzi di comunicazione sociale.
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Nelle radici della società capitalista c’è l’uso borghese della cultura che separa l’uomo da se stesso, dagli altri e dalla vita, che divide gli uomini in lavoratori intellettuali e lavoratori manuali. Nelle radici della società capitalista c’è la cultura che divide.
Per questo nessun reale socialismo potrà essere costruito senza rivoluzione culturale. Perché il socialismo sia reale bisogna che la cultura sia messa in comune.
La rivoluzione non è la fase finale d’un processo di rivoluzione socialista, bensì uno dei suoi fondamenti.
10 maggio 1975
[Testo letto al I Congresso degli Scrittori Portoghesi, traduzione di Carlo Vittorio Cattaneo]
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